La 74a Assemblea Generale di Assomet – Associazione Nazionale Industrie Metalli non Ferrosi – si è svolta nel segno del passaggio di consegne tra Italo Amedeo Romano, giunto alla conclusione del suo secondo mandato presidenziale, e il managing director di Intals Spa, l’Ing. Marco Vedani (nella foto sopra da sinistra: Marco Vedani e Italo Amedeo Romano).
Il Presidente uscente nel suo discorso di commiato si è detto sicuro “di lasciare un’associazione in grado di procedere verso obiettivi sempre più ambiziosi in rappresentanza di un importante settore del manifatturiero che vede l’Italia occupare un ruolo di leader a livello europeo”.
La filiera industriale dei metalli non ferrosi nel nostro paese occupa infatti 25.000 addetti, con un fatturato consolidato 2018 di 25,7 Mld di euro e quasi due milioni di tonnellate di metalli grezzi prodotti, tra rame, alluminio, piombo, zinco e metalli preziosi. Per quanto riguarda i semilavorati (laminati, barre e profilati, tubi, fili, etc.) la produzione ha raggiunto lo scorso anno 2,4 milioni di t, con un volume di esportazione consistente, pari quasi al 40%. I getti hanno invece toccato quota 915.000 t. Sempre più rilevante appare l’apporto del rottame: per l’alluminio siamo attorno al 50% con oltre un milione di tonnellate su un uso totale pari a 2.116.000 t, mentre per il rame l’impiego di rottame si attesta sulle 600mila t. Piombo e zinco sono invece, rispettivamente, a 250mila t e 70mila t.
Marco Vedani, dopo aver ringraziato i presenti di Assomet per la fiducia accordatagli, ha sottolineato come intenda far procedere l’impegno associativo sulla consolidata linea da tempo avviata, puntando tuttavia a tenere maggiormente in considerazione le dinamiche di ogni singolo comparto rappresentato da Assomet e implementando le azioni di marketing associativo allo scopo di poter disporre di una base la più ampia e articolata possibile.
Particolarmente apprezzati dai presenti gli interventi del Dr. Fabrizio Maronta (Limes-Rivista Italiana di Geopolitica) e del Dr. Livio Romano del CSC-Centro Studi Confindustria. Il primo ha presentato uno studio dal titolo “La battaglia per il nuovo ordine mondiale” nel quale ha messo in evidenza i fattori che concorrono a determinare la contrapposizione Usa-Cina e i diversi territori sui quali questa sfida si sta giocando e si giocherà. A cominciare dal predominio marittimo Usa in tutti gli oceani per passare alle nuove vie della seta e relativi corridoi economici, proseguendo con l’analisi dei Paesi che detengono il credito americano (in particolare Cina e Giappone, che insieme arrivano oltre il 30%) per giungere agli attuali rapporti Europa-Russia e alla nuova cortina di ferro, alla presenza concreta della Cina in Europa (porti e rotte marittime, poli finanziari, centri logistici), e allo scenario futuro che nel 2100 vedrà la popolazione mondiale raggiungere gli 11 miliardi, di cui 4,3 miliardi dell’Africa, quasi quattro volte l’attuale popolazione (e con le altre aree del mondo in leggera crescita e l’Europa in calo).
Con la relazione “Dove va l’industria italiana nel difficile contesto globale” Livio Romano ha invece illustrato i motivi (Brexit, elezione di Trump, protezionismo Usa) per cui attualmente è ai massimi l’incertezza nel mondo e come i dazi Usa possano rappresentare un pericolo per l’export italiano. “Il mondo sta entrando in una nuova fase di sviluppo – ha affermato il rappresentante del Centro Studi Confindustria – è in diminuzione la propensione all’export e la crescita della produzione manifatturiera rallenta strutturalmente”. La locomotiva tedesca ha smesso di correre e questa non è una buona notizia per l’industria italiana se si considera che la Germania è il primo partner per l’Italia (12,5% delle nostre esportazioni) mentre la domanda interna langue.
“Ma – ha concluso con una nota di ottimismo Romano – in questo scenario assistiamo alla riorganizzazione dell’industria italiana, con la qualità della produzione in continua crescita anche se non in tutti i mercati allo stesso modo”. E, a proposito di investimenti in tecnologie 4.0, dove a prevalere sono state le imprese manifatturiere, di piccola e media dimensione e localizzate al nord, ha aggiunto come in un contesto globale che certamente non aiuta le imprese italiane sono le scelte di politica economica nazionale a essere fondamentali per ridare fiducia e sostenere la competitività nel medio-lungo periodo.