
Acciaio: la crisi arriva dall’auto
Storicamente tra Italia e Germania vi sono stretti legami industriali nel settore automotive, per cui ogni rallentamento del mercato automobilistico tedesco si riversa sull’economia italiana.
È ben noto che la Germania assorbe circa il 22% della componentistica prodotta in Italia, ma la forte frenata dell’automotive tedesco – iniziata già lo scorso anno – è una delle principali cause anche della crisi degli ex stabilimenti Ilva, ora in mano al Gruppo franco-indiano ArcelorMittal.
Il settore automotive, infatti, è uno dei principali utilizzatori di coil a caldo – quelli prodotti dall’Ilva – il cui prezzo è crollato a meno di 400 euro a tonnellata rispetto ai 550 euro del primo trimestre 2018. Questi dati sono sinonimo di crisi per l’industria dell’acciaio in tutta Europa, anche perché il costo delle materie prime per produrlo non accenna a diminuire a causa della domanda cinese in crescita esponenziale da diversi anni.
Le scuse addotte da ArcelorMittal, o per meglio dire lo spauracchio della chiusura degli stabilimenti di Taranto, in realtà sono figlie di una difficoltà oggettiva di tutto il settore siderurgico europeo. È per questo che la crisi dell’ex Ilva non sarà di facile risoluzione, fermo restando i fattori politici e giudiziari che ne stanno condizionando l’andamento.
In Europa sono già stati chiusi alcuni altiforni da parte di ArcelorMittal, ma tagli alla produzione sono stati eseguiti da altri colossi dell’acciaio mondiale quali Ssab e Liberty Steel (sempre Gruppo ArcelorMittal).
Il problema è che non si vede all’orizzonte una ripresa significativa del mercato tedesco dell’auto che continuerà così ad alimentare una sovrapproduzione di acciaio con ulteriori abbassamenti del prezzo. Secondo gli esperti l’unica via di uscita è una razionalizzazione produttiva che, purtroppo, si traduce nel taglio degli esuberi più volte palesato dalla stessa ArcelorMittal da cui, molto probabilmente, dipenderà la risoluzione della questione italiana.
di Fabio Chiavieri