L’Italia è viva

Il mese di maggio appena concluso ci ha lasciato un’eredità importante: la consapevolezza che il nostro paese Italia è industrialmente molto vivo.

Questa considerazione, al di là dei proclami o degli slogan orientati all’ottimismo, è suffragata dal successo che le tante manifestazioni fieristiche hanno ottenuto sia in termini di espositori, sia di visitatori , dal mondo della lavorazioni della plastica all’automazione elettrica, dalla logistica all’imballaggio, dal settore delle valvole industriali alla meccanica generale.

Un mercato, quello italiano, ancora molto attrattivo per chi vuole sviluppare il proprio business e pur sempre denso di eccellenze nostrane che sopperiscono con le competenze e la flessibilità all’endemico problema legato alla piccola dimensione delle sue aziende.

Anche su questo punto ci sarebbe da ragionare se è vero, come dice la recente indagine dell’Ois, L’Organismo di contabilità, che in fondo le imprese italiane non sono così gravemente affette da “nanismo”.

Per essere “grandi” in Europa bisogna avere più di 250 dipendenti o un fatturato superiore ai 50 milioni di euro all’anno. In Italia appartiene a questa categoria solo lo 0,6% delle aziende ma, ciò che sorprende, è che in proporzione al totale delle imprese la loro incidenza è pari alla media europea (0,6%), persino superiore al peso relativo delle grandi imprese in Gran Bretagna, Francia e Spagna. Inoltre, udite udite, la proporzione delle cosiddette micro-imprese nel sistema produttivo italiano non risulta elevata in maniera anomala, addirittura è inferiore alla media europea.

Con questo non si vuole riportare in auge il motto “piccolo e bello”, anzi va sottolineata ancora una volta la necessità delle aziende italiane di darsi una struttura diversa attraverso aggregazioni, partnership, fusioni e quant’altro, ma non si deve neppure far ricadere sulla scarsa dimensione aziendale tutte le colpe legate alla perdita di competitività delle imprese di casa nostra.

 

 

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